L’orientamento cognitivo-comportamentale (CBT) si focalizza sulla complessa relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti della persona.
Uno dei suoi assunti stabilisce che ciò che pensiamo di noi, degli altri e del mondo influenza direttamente la durata e l’intensità delle emozioni (e quindi, in certi casi, la sofferenza). È vero tuttavia anche il contrario: a partire da uno stato emotivo, la nostra mente produce pensieri congrui ad esso (ad es., se sono triste, facilmente rievocherò gli eventi dolorosi del passato).
GLI ASPETTI DI CONTENUTO IN CBT
Uno degli obiettivi principali della CBT è individuare i pensieri disfunzionali che si presentano con maggiore frequenza e che non aiutano il paziente. Eccone degli esempi:
“Se la mia fidanzata mi lasciasse, per me sarebbe la fine”
“Gli altri non devono assolutamente permettersi di insultarmi”
“Il mondo è pericoloso, è necessario essere sempre pronti al peggio!”
Una volta compreso quando e perché certi pensieri si sono formati – analizzando la storia di vita della persona – si valuta la loro utilità nel presente ed eventualmente si considerano prospettive alternative, capaci di alimentare emozioni positive.
Uno dei concetti fondamentali della CBT è che se un paziente ha una certa credenza (pensiero), è perché in passato ha avuto ragione di pensarla così.
Facciamo un esempio. I pazienti che evidenziano gravi difficoltà ad entrare in contatto con gli altri, che si vergognano, spesso sono convinti che le persone che desiderano avvicinare si annoieranno in loro presenza o addirittura li criticheranno (aspettativa sull’altro). Indagando l’origine di questi pensieri, non è infrequente rintracciare nella storia di vita del paziente dinamiche con genitori freddi, distanzianti e critici o episodi di bullismo. Per questi pazienti, quindi, evitare le interazioni con gli altri rappresenta una strategia per proteggersi dagli scenari dolorosi che immaginano probabili (strategia di coping), comportamento che alla lunga può tuttavia portare alla desolazione sociale.
L’aspetto comportamentale della CBT, poi, è dato dalle tecniche specifiche che agiscono sul sintomo (ad es., rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, esposizione con prevenzione della risposta, ecc.). Impararle e metterle in pratica nelle situazioni temute permette di realizzare con profitto nuovi modi di fronteggiare la minaccia e incrementare la propria autoefficacia. Infine, un importante aspetto della terapia consiste nel mettere a fuoco le condotte controproducenti che finiscono per danneggiarci (ad es., abuso di alcolici o droghe, procrastinazione, ritiro dalla vita sociale, compulsioni, etc.) per identificare delle alternative sane.
ASPETTI DI PROCESSO
In aggiunta a quanto illustrato, vi sono alcuni processi cognitivi che concorrono a generare e mantenere la sofferenza, uno di questi è il rimuginio. Questo tipo di pensiero – generalmente ripetitivo, a carattere negativo e rivolto al futuro – si configura come un tentativo di prevedere scenari catastrofici, al fine di comprendere come affrontarli o evitarli.
Pensiamo ad una persona preoccupata per un colloquio di lavoro che affronterà il giorno seguente. Nella sua mente probabilmente si presenterà una sequenza di pensieri simile a questa: “come sarà la stanza dove farò il colloquio? E se mi trovassi alle strette? E se pensassero che sono troppo timido, inadeguato, vestito male…?”
Ecco, questo è il rimuginio. Generalmente richiede molte energie, aumenta lo stato di ansia e non giunge mai ad una conclusione (o meglio, abbiamo sempre la sensazione di non aver rimuginato abbastanza). La MCT (Terapia Metacognitiva), più che intervenire sul contenuto del rimuginio, estingue il processo in sé. Riflettere proattivamente è molto diverso che rimuginare. Per tornare all’esempio di prima, il nostro paziente potrebbe attuare delle tecniche di shifting attentivo, motivate dall’assunto che rimuginare non serve – anzi esaurisce le energie – e decidere di coricarsi presto per riposare un adeguato numero di ore e presentarsi riposato al colloquio.
L’INTERVENTO SULLE RELAZIONI INTERPERSONALI
Le terapie di stampo cognitivo-comportamentale intervengono anche sulle modalità disfunzionali di rapportarsi agli altri apprese nella propria storia di vita. Accade spesso, infatti, che gli esseri umani si rappresentino l’Altro in maniera stereotipata, agendo di conseguenza in linea con dei “copioni” della relazione.
Per esempio, un paziente maltrattato nell’infanzia, potrebbe vivere con grande allarme la vicinanza con un’altra persona, sulla base della previsione che verrà appunto in qualche modo danneggiato. Una reazione a questa previsione potrebbe essere quella di ritrarsi o, al contrario, minacciare o aggredire l’altro.
È evidente, quindi, che per non incorrere in stati di sofferenza le nostre previsioni devono tenere conto delle peculiarità di ciascuno e che dobbiamo essere pronti a “cambiare idea” sulla persona che ci sta davanti.
A questo proposito in seduta si analizzano gli episodi dove sono emerse problematiche relazionali, alla ricerca di questi “copioni” che possono eventualmente essere modificati per raggiungere uno stato di benessere.
LA CONSAPEVOLEZZA E IL CAMBIAMENTO
Appare chiaro perciò che una parte considerevole del lavoro in seduta è tesa a sviluppare maggiore consapevolezza del proprio funzionamento, affinché sia possibile decidere come procedere, scoprendo nuovi e più efficaci modi di pensare e di comportarsi, nell’ottica di incrementare il proprio benessere. Un buon modo di fare questo è divenire progressivamente più flessibili, più compassionevoli con sé stessi e migliorare la propria tolleranza a situazioni o emozioni “difficili”. Per tale motivo, utilizzo spesso tecniche mindfulness-based.
L’obiettivo ultimo del percorso psicologico che propongo è riuscire a direzionarsi verso i propri valori, i propri scopi, incrementando così il benessere psico-sociale e raggiungere una incondizionata autoaccettazione di sé.
Quanto è efficace?
Questo orientamento si basa su solide basi scientifiche, tecniche di comprovata efficacia e, ad oggi, vanta tra i migliori risultati sul piano clinico per il trattamento della stragrande maggioranza dei disturbi mentali (vedi ad esempio linee guida NICE).
In studio lavoro applicando concetti provenienti dalla Terapia Razionale Emotiva Comportamentale di Albert Ellis (REBT), dalla Terapia Metacognitiva di Adrian Wells (MCT), dall’Acceptance and Commitment Therapy di Steven C. Hayes (ACT), dalla Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI), dalla Dialectical Behavior Therapy (DBT), dalla Schema Therapy, dalla teoria della dissociazione strutturale e dal costruttivismo kelliano.
Le sedute hanno una durata di 50 minuti circa.